Sisma due anni dopo. La Chiesa di Spoleto-Norcia: “Una presenza discreta, silenziosa ma reale”
Sisma due anni dopo. La Chiesa di Spoleto-Norcia: “Una presenza discreta, silenziosa ma reale”

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Una presenza discreta, silenziosa ma reale. Potrebbe sintetizzarsi così la scelta di don Natale Rossi e di Carla Corazzi, sacerdote di 96 anni il primo e consacrata dell’Ordo Virginum, la seconda, di professione insegnante. Entrambi terremotati, con l’abitazione distrutta dalle scosse sismiche dell’agosto e dell’ottobre del 2016, hanno rinunciato a lasciare la loro terra per restare tra la loro gente e condividere tutte le difficoltà di una vita da ricostruire in ogni sua dimensione. In questo modo don Natale e Carla cercano di essere una presenza visibile della chiesa locale che non ha mai smesso di portare, in ogni maniera, il suo aiuto alla comunità colpita dal terremoto.
Don Natale Rossi da più di un anno è tornato a vivere a san Giorgio, frazione di Cascia, nell’altopiano di Avendita, dove è stato parroco per 69 anni, praticamente da quando è stato ordinato prete, “era il 26 giugno del 1949” dice con un moto di orgoglio. Seduto sul divano della sua Sae (soluzione abitativa di emergenza) racconta il perché della scelta di tornare “a casa”. A Roccaporena, paese natale di santa Rita, dove l’arcidiocesi gli aveva trovato una sistemazione dopo il sisma, don Natale, che è il prete più anziano della diocesi, non voleva più stare: “sono troppi 30 km da percorrere tutti giorni per andare a san Giorgio a celebrare.
La mia vita è qui tra i miei parrocchiani, lontano da loro non riesco a stare.
Con la mia comunità siamo sempre stati un ‘cuore solo e un’anima sola’. Ho sempre fatto del bene a tutti e non mi sono mai tirato indietro. Non li ho mai abbandonati. Dopo ogni terremoto ci siamo rialzati tutti insieme”.
Fuori la porta di casa la sua badante ha messo ad asciugare la tonaca, indumento non proprio comodo per muoversi in questa vetta di altopiano a circa 1000 metri di altezza, dove per arrivare non è poi così semplice visto le strade strette e dissestate. “Io so’ prete – afferma tradendo l’inflessione dialettale di queste terre – e la tonaca non l’ho mai tolta. La portavo pure quando con i parrocchiani ci siamo messi a tirare su i blocchetti per costruire il capannone della Pro Loco, per rifare la chiesa parrocchiale o per dare una sistemata alle strade di accesso alla frazione. Avevo tre anni e mezzo quando dissi che volevo fare il prete ‘bono’”. E così è stato, nonostante una nefrite curata dalla madre a forza di panni caldi, che poteva costargli cara. E così è adesso che è ritornato. “Qui a san Giorgio celebro la messa tutti i giorni alle 16 in una piccola cappellina realizzata da volontari fiorentini. Siamo rimasti in 60 abitanti: tra loro c’è chi viene per parlare, chi per confessarsi e chi semplicemente per farmi visita. Il resto della mia giornata lo passo a pregare il Breviario e a recitare il Rosario. Ne dico anche sette in un giorno. Prego per tutti, per i terremotati, per la Chiesa, per la diocesi, per i preti, per i parrocchiani, per chi è malato”.

(di Daniele Rocchi)

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Argomenti: Chiesa in Italia
Tag: #Terremoto Norcia Sisma
Fonte: SIR