
«Andarcene? Dove? È la nostra terra, è parte di noi. Lotteremo. Siamo abituati a farlo. Come abbiamo resistito alle invasioni, ora resisteremo al fuoco». Eric, 23 anni, indigeno Karipuna, è uno dei 23 abitanti del villaggio Panorama, sulle rive del fiume Ji-Paraná, affluente del Rio delle Amazzoni. «In realtà, i Karipuna, in totale, siamo 58, ma più della metà vive in città, a Porto Velho, per ragioni di studio o lavoro». Panorama, nel Rondônia, è sulla “linea del fuoco”, come tutta la fascia del Brasile centro-occidentale, devastata da oltre 33mila incendi nell’ultimo mese. Un sesto di questi è avvenuto nello Stato che, inoltre, ha la maggior concentrazione di roghi per chilometro quadrato.
«Ora va un po’ meglio: ieri ha piovuto e le fiamme si sono arrestate. Ma oggi il fuoco potrebbe riprendere ad avanzare. Da soli non possiamo affrontarlo. Chiediamo al mondo di non voltarsi dall’altra parte. Il mio popolo, i Karipuna, ha rischiato di estinguersi per le violenze e le malattie portate dai conquistatori nei secoli passati. Siamo rimasti in 58. Altre tribù sono state cancellate. Lo sterminio prosegue nel presente: i cacciatori di risorse ci considerano un ostacolo. Chiediamo solo di poter continuare a esistere come indigeni. Non lasciate che veniamo ridotti in cenere», dice Eric, con la voce carica di commozione.
Il giovane non parla solo per il suo popolo: gli oltre 900mila indios brasiliani sono a rischio. Secondo gli ultimi dati dell’Instituto socioambiental (Isa), almeno 3.500 roghi stanno devastando 148 terre indigene, concentrate – oltre che in Rondônia –, in Mato Grosso, Tocantins, Acre e Pará. Zone in cui si sono rifugiati anche molte tribù in isolamento volontario. I traumi del passato, cioè, hanno spinto alcuni gruppi nativi a rifiutare il contatto con l’esterno, rintanandosi negli angoli più remoti della foresta. In Brasile, se ne contano un centinaio, secondo la Ong Survival, in prima linea nella difesa dei nativi.