Dal Giappone una storia di dolore, nel deserto dei legami sociali
Dal Giappone una storia di dolore, nel deserto dei legami sociali

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«Non pensavo che morisse… le avevo lasciato da mangiare, alcuni biberon… i suoi giochini vicini… l’avevo persino legata al divanetto, per evitare che andasse in giro a farsi male…». Dicono che quando sono arrivati a casa di Saki Kakehashi, 23 anni, una ragazza madre residente a Kamata, un quartiere popolare di Tokyo, gli assistenti sociali l’abbiano trovata più sorpresa che disperata. E così parrebbero confermare i primi verbali della polizia che, dopo averla a lunga interrogata, l’ha accompagnata in una struttura protetta. La stessa, pare, dove aveva vissuto per quasi dieci anni, dopo essere stata tolta alla madre, che la picchiava e torturava.
A 8 anni pare fosse stata appesa per ore ad una corda, in casa, e a lungo abusata dalla madre e dal suo compagno. Saki no, voleva bene alla piccola Noa, 3 anni, avuta da un ragazzo che l’aveva anche sposata, ma che poi appena nata la bambina è scappato. Da un giorno all’altro ha fatto johatsu, è «evaporato», come poeticamente chiamano i giapponesi il fenomeno di oltre 20mila persone che ogni anno svaniscono nel nulla. Se aggiungiamo il numero dei suicidi (circa 20mila l’anno, calati di recente, ma pur sempre altissimo) e del recente, sempre più diffuso, fenomeno del kudokushi, (morte in solitudine), le persone, soprattutto anziane ma non solo, che si lasciano morire di fame in casa, da sole o in coppia, pur di non recare “disturbo” a eventuali parenti, vicini e persino istituzioni, ed i cui cadaveri vengono scoperti solo perché i vicini sentono odori sempre più insopportabili, sono oltre 50mila, 130 al giorno, 5 ogni ora.

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Argomenti: Mappamondo
Tag: Giappone solitudine
Fonte: Avvenire